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21
OTT
2024

SEPARAZIONE – DIVORZIO

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Forse non tutti sanno quale è la differenza tra separazione e divorzio e gli effetti conseguenti. Tali istituti sono stati oggetto di varie modifiche nel tempo, l’ultima delle quali recentemente, con la cosiddetta “riforma Cartabia”. Ma andiamo con ordine. Quando la “convivenza coniugale” non è più sostenibile, per qualsiasi ragione, uno o entrambi i coniugi possono chiedere la separazione. La procedura legale è diversa, a seconda che la si voglia intraprendere consensualmente, quindi con accordo tra i coniugi, o giudizialmente, in mancanza di accordo. Nella prima ipotesi i coniugi possono anche rivolgersi ad uno stesso avvocato, nella seconda, ovviamente, no. Il ricorso all’autorità giudiziaria (Tribunale) può essere evitato avva-lendosi della cosiddetta “negoziazione assistita” tramite l’ausilio di un Legale. La problematica conseguente alla separazione è proporzionale ai punti di convergenza tra i coniugi che, solitamente, afferiscono a tre principali temi: affidamento di eventuali figli, assegnazione della casa coniugale, aspetti economici (mantenimento coniuge e figli e spese straordinarie per questi ultimi). Senza soffermarsi su tali aspetti, che variano da caso a caso, ma che è bene affrontare con piena condizione di causa, da parte dei coniugi separandi (a volte troppo interessati a porre fine al vincolo coniugale quanto prima), merita rilevare che non tutte le separazioni sfociano in un successivo divorzio e, ancora oggi, si assiste a situazioni in cui persiste, a distanza di diversi anni, la condizione di “coniugi separati”. Tale concetto merita più di una riflessione. Innanzi tutto, soffermandoci sulla più rilevante, va evidenziato che, an-che successivamente alla separazione, i coniugi sono ancora tali, an-corchè separati. Ciò significa che, ad esempio, permangono i reciproci diritti successori che gli stessi avevano in costanza di mantenimento. Tale aspetto merita di essere considerato, specialmente da parte del coniuge che vanta un eventuale patrimonio, più o meno significativo, sia mobiliare, che immobiliare, e che, per ipotesi, nel frattempo ha posto in essere una eventuale nuova convivenza. Il rapporto di coniugio cessa solo con il divorzio (o la morte!) e, con esso, anche i diritti successori tra coniugi. Detto passaggio, ovviamente, è anche necessario qualora uno o entram-bi i coniugi intendano convolare a nuove nozze. Infine, per mera completezza argomentativa, si evidenzia che, formal-mente, con la recente richiamata nuova disciplina, è possibile pre-sentare, contestualmente, domanda di separazione e di divorzio. Lo scrivente ritiene tale possibilità una “abnormità” e non la condivide, principalmente perché vengono snaturate le finalità della separazione e le conseguenze della stessa. Nell’intento del legislatore di remota memoria, che si condivide, la separazione avrebbe potuto rappresentare un “momento di riflessione” tra i coniugi. L’esperienza quotidiana ci insegna che diverse coppie separate, poi, dopo avere provato nuove esperienze o “metabolizzato” gli effetti della separazione e l’esperienza di un periodo da single, si sono ravveduti e, previa riconciliazione, hanno ripreso la convivenza. E si, perché, è sufficiente riprendere la convivenza per annullare gli effetti della separazione e riacquisire la qualità di coniugi, anche se, è bene precisarlo, la ripresa della convivenza deve essere effettiva, non temporanea e tale da “ricostruire la comunione spirituale e materiale propria della vita coniugale”. Ci auspichiamo che questo contributo possa essere di aiuto a coloro che troppo frettolosamente, a volte, ha posto fine ad un rapporto coniugale dando corso, emotivamente, magari per orgoglio (si pensi ai casi di infedeltà coniugale) alla procedura di divorzio, recidendo defi-nitivamente quel “cordone ombelicale” che, come coniuge separato, lo teneva ancora, in qualche modo, unito al compagno, o alla compagna, con il quale, o con la quale, aveva condiviso una parte significativa della propria vita, magari mettendo al mondo anche figli che (non è una frase fatta) rappresentano il collante di una vita in comune e le ricadute, spesso devastanti, sui quali meriterebbero una ponderata e serena riflessione.
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27
SET
2024

USUCAPIONE

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L’usucapione, detta anche prescrizione acquisitiva, deriva dal latino usucapio, ed è un modo di acquisto della proprietà a titolo originario. Ciò significa che la proprietà di un bene (sia esso mobile, che immo-bile) non viene trasferita da un soggetto ad un altro, bensì acquisita direttamente dall’interessato per effetto di una attività e/o condotta riconducibile allo stesso. Il presupposto per potere beneficiarne è rappresentato dal possesso esercitato per un determinato periodo di tempo, che, normalmente, è di venti anni, anche se vi sono fattispeci che prevedono periodi anche inferiori. Ma non tutti i possessi sono idonei per potere esercitare tale diritto (di usucapione). Infatti, il possesso cosiddetto “utile” per l’usucapione, deve essere “qualificato”, nel senso che lo stesso deve corrispondere a quello del proprietario. Senza disquisire sulla differenza tra proprietà e possesso, che sono concetti e diritti ben diversi, ci si limita a precisare che tale pos-sesso, giuridicamente, viene definito uti dominus, ciò corrisponden-te a quello esercitato dal proprietario. Ciò significa che per potere reclamare il diritto di proprietà di un bene, per usucapione, occorre il concorso dei seguenti elemen-ti/presupposti: a) possesso esclusivo di un bene; b) possesso esercitato come lo eserciterebbe il proprietario; c) decorso del periodo di tempo previsto dalla legge. In relazione a tale ultimo requisito si precisa che è anche possibile unire al proprio possesso quello esercitato precedentemente dal-l’eventuale dante causa. Senza addentrarci più a fondo su tale aspetto, ci si limita ad eviden-ziare che la “sommatoria” dei due possessi può avvenire inter vivos (quando viene trasmesso da qualcuno vivente) o mortis causa (quando viene acquisito per causa di morte). L’usucapione deve essere sancito da una pronuncia giudiziale; ragion per cui occorre rivolgersi, tramite un Legale, al Tribunale competente. Il buon esito della procedura è rappresentato dalle prove, di quanto sopra detto, che si dovranno portare alla attenzione del Giudice. Normalmente occorrerà anche l’ausilio di un Tecnico che pre-disporrà una eventuale relazione. Gli oneri che l’interessato dovrà affrontare saranno compensati da quelli, solitamente ben superiori, che lo stesso avrebbe dovuto riconoscere al precedente proprietario in ipotesi di compravendita, da formalizzare con rogito notarile, con spese relative a carico dell’acquirente.  
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25
MAR
2024

DANNI CAGIONATI DA COSE IN CUSTODIA: INSIDIA E TRABOCCHETTO !!!

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L’art. 2051 c.c. sancisce che “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortui-to”. Prima di affrontare e spiegare i concetti di responsabilità e caso for-tuito è bene considerare il disposto di una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, che così recita: “L’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito risponde ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., per difetto di manutenzione, dei sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, salvo che si accerti la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. Nel compiere tale valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile all’ente e l’evento dannoso”. Il principio sopra riportato si rinviene in altre sentenze del suddetto “Giudice di Legittimità”, che precisano come “… la responsabilità dell’ente proprietario d’una strada aperta al pubblico transito, per difetto di manutenzione, va rapportata alla concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo”, nonché “… l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell’art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile”. Dal dettato normativo dell’art. 2051 c.c. e dai principi sanciti dalla Corte di Cassazione, Supremo Giudice di Legittimità del nostro ordinamento, al quale ci si può rivolgere, quale ultimo grado di giudizio, per contestare le decisioni dei giudici di merito (Corte di Appello, Tribunale, Giudice di Pace), si possono evincere alcuni dati tanto essenziali, quanto significativi, afferenti alla materia del “Danno cagionato da cose in custodia”, che, si badi bene, è rinvenibile principalmente nell’ambito della circolazione stradale, ma anche in altri ambiti del vivere quotidiano (si pensi, esemplifica-tivamente, a cadute accidentali presso pubblici o privati esercizi). In casi di tal fatta, quindi, si deve, innanzi tutto, individuare chi si ritiene responsabile del danno, sia esso ente pubblico, che privato. Quindi occorre provarne la responsabilità (an), al fine di potere richiedere ed ottenere il risarcimento del danno rivendicato, che, del pari, quanto alla entità (quantum), dovrà essere ulteriormente provato. Contrariamente alle fattispecie riconducibili all’art. 2043 c.c., sempre in materia di fatti illeciti, il disposto dell’art. 2051 c.c. è più favorevole al danneggiato in quanto sancisce una presunzione di responsabilità a carico del danneggiante. Chi rivendica il risarcimento di un danno asseritamente subìto dovrà provare il cosiddetto “nesso eziologico” o “nesso di causa” tra la causa del danno ed il danno stesso (an). Oltre a questo, come detto, dovrà provarne l’entità (quantum). Colui al quale viene imputata la responsabilità (oggettiva) potrà esimersi dal risarcimento richiamando il caso fortuito. Detta prova consiste nel sostenere e provare che l’accadimento, dal quale è scaturito il danno, non è allo stesso riconducibile perché dovuto a causa a lui non imputabile, bensì ad un caso fortuito, come tale al di fuori della propria sfera di operatività, controllo e vigilanza, e, conseguentemente, di responsabilità. Per semplificare, il danneggiante dovrà fornire la prova che la causa del danno (ad esempio una buca) era visibile, come tale prevenibile, da parte del danneggiato, come tale, evitabile e che, in ogni caso, lo stesso non aveva avuto modo di intervenire tempestivamente per eliminarla perché creatasi repentinamente, al di fuori del suo normale ambito operativo atto ad eliminare tempestivamente cause di eventuali danni per gli utenti. Si pensi, per chiarire i concetti suesposti, al caso della buca stra-dale, o alla macchia d’olio sulla sede stradale, o in altro luogo pub-blico, formatesi poco prima del fatto, ma anche agli scalini o ad un pavimento non sicuri per varie ragioni … ma qui il campo delle ipotesi e delle strategie difensive si allarga al punto tale da non po-ter essere affrontate nel presente contributo, che, ci si auspica, sia stato sufficientemente chiaro per comprendere una problematica complessa e variegata ma, allo stesso tempo, di concreta attualità.
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08
GIU
2022

LA GRANDE ILLUSIONE DELL’INDENNIZZO DIRETTO

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L’indennizzo diretto o risarcimento diretto introdotto dal Codice delle Assicurazioni nell’anno 2007, consente al danneggiato da sinistri stradali di ottenere il risarcimento, dei danni subìti, dalla propria Compagnia di Assicurazione.Oltre ai danni materiali è possibile essere risarciti anche dai “danni” cosiddetti “micropermanenti”, cioè di entità fino al 9% di invalidità.Ma la circostanza che sia la propria assicurazione a risarcire il danno, non significa, automaticamente, che questa tuteli, sempre e comunque, gli interessi del proprio assicurato.Vero è, infatti, che la stessa gestisce e liquida il sinistro per conto e nell’interesse della assicurazione del danneggiante, nei confronti della quale, poi, ha una azione di rivalsa, per recuperare quanto versato al danneggiato.Questo ultimo, solitamente, si affida alla propria assicurazione nell’au-spicio che la stessa tuteli appieno i propri diritti ed interessi, ma non sempre ciò avviene.Basti considerare il caso in cui il danneggiato subisca anche delle lesioni, che vanno accertate dal medico fiduciario della propria compagnia e liquidati in conformità, se e quando vengono riscontrate invalidità.In tal modo il danneggiato si preclude la possibilità di ottenere un risarcimento superiore, che si ottiene solo con l’ausilio di un proprio medico legale.Perché allora, anche in ipotesi di indennizzo diretto, non affidarsi ad un Legale e ad un Medico Legale (di parte) che sicuramente tuteleranno appieno gli interessi del danneggiato … ed i cui costi saranno rimbor-sati dalla Compagnia di Assicurazione?Percentualmente la maggior parte dei danneggiati si affida alla propria assicurazione al fine di ottenere liquidazioni, spesso inadeguate, in ossequio al detto “pochi, maledetti e subito”!
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08
NOV
2017

MALASANITÀ

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Lo Studio Legale Zanchini recentemente ha patrocinato un cliente che era stato vittima di un caso di malasanità, conseguente ad un errato intervento chirurgico. L’esito è stato favorevole, nonostante la strenua opposizione sia del chirurgo che della AUSL di competenza. La materia non è delle più semplici e, specialmente attualmente, ove casi simili sono sempre più frequenti, merita particolare attenzione, preparazione e costante aggiornamento, anche alla luce di un recente nuovo dettato normativo più favorevole alla classe medica. Il cliente, pur soddisfatto dall’esito sotto l’aspetto dell’an, quindi nella fondatezza della domanda e della riconosciuta responsabilità del chirurgo, nonché della AUSL, ha ritenuto, di concerto con la difesa, di interporre appello al fine di ottenere un riconoscimento più congruo, rispetto a quello  riconosciuto in primo grado dal Tribunale di Rimini.
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06
LUG
2017

DANNI CAUSATI DALLA FAUNA SELVATICA: L’INCUBO DEGLI AUTOMOBILISTI

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Una recente sentenza resa dal Tribunale di Pesaro, Giudice Lorenzo Pini, ha riconosciuto il legittimo diritto di un automobilista a vedersi risarciti i danni subìti per effetto di un sinistro stradale occorsogli in Valmarecchia nell’anno 2009. Già il Giudice di Pace di Novafeltria, con sentenza del 2012, aveva riconosciuto le ragioni dell’automobilista e condannato la Provincia di Pesaro e Urbino a risarcire i danni consequenziali. Tale sentenza è stata appellata, avanti al Tribunale di Pesaro, da questa ultima, sotto due profili: contestazione di alcuna responsabilità in capo alla stessa e, in ipotesi contraria, individuazione dell’Ente, a cui sarebbe dovuto essere imputato il pagamento, nella Regione Marche. Il Tribunale di Pesaro, con la sentenza n. 55/2017, ha ribadito il diritto dell’auto-mobilista ad essere risarcito del danno subìto, ma ha disposto il pagamento in capo alla Regione per il fatto che, nelle more del giudizio, è intervenuta una apposita normativa regionale che ha posto in capo a questa ultima il risarcimento dei danni cagionati, agli automobilisti, dalla fauna selvatica. Ma la strada è stata impervia per più di una ragione. Va precisato, infatti, che recentemente si è sviluppato un indirizzo giurisprudenziale  piuttosto rigido in materia di risarcimento danni causati agli automobilisti dalla fauna selvatica, che impone, all’utente della strada, di provare la colpa nella quale sarebbe incorso l’Ente preposto alla vigilanza della fauna selvatica (sia esso Regione, Provincia, Ente Parco o altro), oltre all’entità del relativo risarcimento. Tale onere non è di facile assolvimento atteso che il danneggiato deve, tanto ana-liticamente, quanto puntualmente, individuare e denunciare i comportamenti colposi, per lo più omissivi, dell’Ente. In tali casi, oltre, ovviamente, a provare la corretta condotta dell’automobilista, andranno evidenziate tutta una serie di circostanze ed inadempimenti quali: la mancanza di segnali preavvertenti attraversamenti di animali, la frequenza di sinistri analoghi nella stessa zona o in zone limitrofe, la presenza, in loco, di eventuali oasi di protezione, centri di riproduzione o zone di ripopolamento della fauna selvatica, la mancata predisposizione di eventuali recinzioni – protezioni nelle zone più a rischio, ovvero di mangiatoie o di strutture ove gli ungulati possano trovare acqua e cibo, e altro ancora. Non a caso, sempre più spesso, recentemente, automobilisti che in primo grado,     solitamente avanti al Giudice di Pace, avevano visti riconosciuti i propri diritti, in fase di appello, avanti al Tribunale, sono risultati soccombenti per non avere assolto al suddetto “onere della prova”; ciò ha comportato, purtroppo, la restituzione del risarcimento ottenuto ed il pagamento delle spese e competenze legali di entrambi i gradi di giudizio. Vi è pertanto, nella decisione in commento, che ha accolto la tesi sostenuta dall’Avv. Silvano Zanchini di Novafeltria (RN), più di un motivo di soddisfazione per aver visto riconosciuto il giusto risarcimento del danno subìto dal proprio assistito il quale, in attesa della decisione giudiziale, ha vissuto, ragionevolmente, momenti di preoccupazione ricollegabili all’esposto incerto scenario attuale del risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica. Merita poi precisare che, essendo la materia regolata, oltre che da una “ legge quadro” statale, da leggi regionali, adottate dalle singole Regioni, lo scenario si presenta diverso in ogni ambito regionale. Ciò comporta maggiore incertezza ed alea, a discapito delle sacrosante e legittime  ragioni dell’ignaro automobilista che, oltre al danno, potrebbe anche subìre la beffa di una avversa pronuncia giudiziale. Ad oggi anche la Regione Emilia Romagna ha “allocato”, con propria normativa, alla Regione stessa tutta una serie di funzioni relative alla fauna selvatica, compreso il risarcimento dei danni arrecati agli utenti della strada.
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22
GIU
2017

CLAUSOLE VESSATORIE E CLAUSOLE PENALI

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Le clausole vessatorie sono quelle condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, un particolare squilibrio dei diritti e degli obblighi che ne derivano, nei confronti del consumatore. Le suddette clausole sono regolate dall’art. 1341, comma 2 c.c., condizioni generali di contratto, il quale dispone che esse non sono valide se non sono specificamente approvate per iscritto. Tale articolo continua elencando per iscritto e tassativamente quali sono le clausole vessatorie, le quali prevedono, “limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente  decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”. La vessatorietà di una clausola è valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto e facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione ed alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui dipende. In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore. Le clausole considerate vessatorie sono inefficaci, mentre il contratto rimane efficace per il resto. Tale inefficacia, che opera solo a svantaggio del consumatore, può essere rilevata d’ufficio dal giudice. La clausola penale invece è il patto con cui si conviene che in caso di inadempimento di un’obbligazione la parte debitrice versi una somma di denaro o effettui altra prestazione. La penale ha una duplice effetto in caso di inadempimento: – dispensare dall’onere di provare il danno (essendo la penale dovuta per il fatto stesso dell’inadempimento o del ritardo); – limitare il risarcimento all’ammontare della penale pattuita, salvo che non sia prevista la risarcibilità del danno ulteriore (quindi, come un limite alla risarcibilità di esso quando l’ammontare della pena sia inferiore al danno effettivo, rappresentandone un ampliamento, quando sia superiore). La penale è prevista dal contratto, ma è versata solo in caso di inadempimento o di ritardo. La sua funzione quindi è, da un lato, di esonerare il creditore dall’onere di provare il danno da inadempimento, in quanto ne costituisce liquidazione anticipata e, dall’altro, di incentivare l’adempimento del debitore il quale conosce sin dall’inizio l’entità della prestazione cui è tenuto se inadempiente.
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22
GEN
2016

TUTTE LE APPARECCHIATURE DEVONO ESSERE ASSOGGETTATE A CONTROLLI PERIODICI DI FUNZIONALITÀ

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La Corte Costituzionale con sentenza 18 giugno 2015 n. 113 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 45, comma 6, del Dlgs n. 285 del 1992 in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. Nello specifico ha affermato che “qualsiasi strumento di misura, specie se elettronico, è soggetto a variazioni delle sue caratteristiche e quindi variazioni dei valori misurati dovute a invecchiamento delle proprie componenti e a eventi quali urti, vibrazioni. Shock meccanici e termici, variazioni della tensione di alimentazione. Si tratta di una tendenza disfunzionale naturale direttamente proporzionata all’elemento temporale. L’esonero da verifiche periodiche, o successive a eventi di manutenzione, appare per i seguenti motivi intrinsecamente irragionevole”.
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17
NOV
2015

DELITTI E CONTRAVVENZIONI

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  I reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, in base alla pena prevista per le singole fattispecie di reato. I delitti e le contravvenzioni si distinguono a seconda della specie di pena prevista dal codice penale (art. 39 c.p.): i delitti sono quei reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo, della reclusione o della multa; mentre le contravvenzioni sono quei reati per i quali è prevista la pena dell’arresto e/o dell’ammenda (art. 17 c.p.). I delitti sono in massima parte previsti e puniti dal libro secondo del codice penale, possono essere dolosi o colposi, e sono puniti più gravemente delle contravvenzioni; alcuni esempi di delitti possono essere quelli contro la persona (es. omicidio, lesione, diffamazione, violazione del domicilio), contro il patrimonio (es. furto, usura, ricettazione), contro l’incolumità pubblica (es incendio, danneggiamento), contro la pubblica amministrazione (es. peculato, concussione, corruzione) e altri. Le contravvenzioni, invece, sono disciplinate sia dal libro terzo del codice penale, che dà numerose disposizioni di leggi speciali. La loro peculiarità è che, per la loro sussistenza, non risulta necessaria la valutazione della presenza dell’elemento soggettivo. Sono esempi di contravvenzioni, quelle di polizia (es. rifiuto di indicazione sulla propria identità personale, radunata sediziosa, molestia o disturbo alle persone), quelle di prevenzione di taluni reati (es. ubriachezza, detenzione abusiva di armi, possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli), quelle concernenti l’incolumità pubblica (es. omessa custodia e mal gestione di animali, rovina di edifici ed altre costruzioni, fabbricazione o commercio abusivi di materie esplodenti), nei quali mancando l’elemento soggettivo non si dovrà considerare la presenza del dolo o della colpa da parte del suo trasgressore.
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08
GEN
2010

Cassazione civile, sez. III, sentenza 08.01.2010 n° 80

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L’Avv. Zanchini ha assistito con successo un automobilista danneggiato da fauna selvatica, sia nei giudizi di merito, che presso la Suprema Corte di Cassazione. La relativa sentenza (Cass. n. 80/2010) attualmente fà stato, per dette controversie, nell’ambito della Provincia di Pesaro e Urbino e della Regione Marche, avendo la Corte di Cassazione statuito un importante “principio di diritto” al quale si sono uniformati i giudici di merito (Giudici di Pace, Tribunali, Corte di Appello).  
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